Marije d'Enghien

(Riderette da Maria d'Enghien)

Template:Monarca Maria d'Enghien (1367 – Lecce, 9 maggio 1446) , fu contessa di Lecce dal 1384 alla morte in quanto ereditiera dei possedimenti del fratello Pietro morto privo di eredi. Si sposò in prime nozze con Raimondo Orsini Del Balzo e fu principessa di Taranto dal 1399, e in seconde nozze con il re Ladislao I d'Angiò-Durazzo, divenendo la sua terza ed ultima moglie e fu quindi regina consorte di Napoli dal 1407 al 1414, anno della morte del marito.

Come moglie del re Ladislao I, oltre ad essere consorte di Napoli, fu regina titolare consorte di Gerusalemme, di Sicilia, e d'Ungheria, e contessa titolare consorte di Provenza e di Forcalquier.

Biografia cange

Nipote di Isabella di Brienne, nacque nel 1369 da Giovanni d'Enghien, conte di Lecce, e da Sancia (Bianca) Del Balzo, titolari del ducato di Andria.

Contessa di Lecce e signora di feudi salentini cange

 
La cappella di San Leonardo del Castello Aragonese di Taranto, edificata circa un secolo dopo il matrimonio tra Maria e Ladislao I d'Angiò, dove oggi si celebra la rievocazione storica di quell'evento.

Dopo la morte senza eredi del fratello maggiore Pietro, tra il 28 marzo e il 27 luglio 1384, divenne contessa di Lecce (Lecce e i casali del circondario da Torchiarolo a nord sino a Carpignano Salentino a sud) e dei feudi di Mesagne, Carovigno, Corigliano d'Otranto, Roca, Gagliano del Capo, Acquarica del Capo e Castro. Sebbene Pietro fosse un deciso sostenitore di Luigi I d'Angiò, pretendente al trono di Sicilia (Napoli), e del papa avignonese Clemente VII, Maria fu scelta dal papa romano Urbano VI come sposa per Raimondello Orsini (Del Balzo Orsini) – secondogenito del conte di Nola, Nicola Orsini e di Giovanna di Sabran – che, con Tommaso Sanseverino, il 7 luglio 1385 aveva liberato il papa da Nocera, assediata dalle truppe di Carlo III d'Angiò Durazzo. Il matrimonio ebbe luogo solo dopo la partenza del papa per Genova, tra il 24 agosto e il 29 ottobre.

Benché avesse riservato per sé il titolo di comitissa Licii (contessa di Lecce) e Raimondello si intitolasse come «principe consorte» esclusivamente comitatus Licii dominus (signore della contea di Lecce), quest'ultimo esercitò la piena sovranità nella contea salentina. Maria rimase per più di venti anni all'ombra del marito che, oltre ai suoi feudi in Campania (Acerra, Marigliano, Trentola e Marcianise) e in Irpinia (baronie di Flumeri-Trevico e Guardia Lombarda), si creò negli anni successivi una vasta signoria in Puglia (Brindisi, Gallipoli, Martina Franca, Monopoli, Molfetta, Barletta, Altamura e Minervino Murge).

Raimondello, nella lotta per il trono tra Ladislao d'Angiò Durazzo e Luigi II d'Angiò, seguì la politica opportunistica quanto abile della «doppia lealtà» per schierarsi al momento decisivo al fianco del vincitore Ladislao I d'Angiò. Ricompensa per questo doppio gioco fu l'investitura, il 9 maggio 1399, da parte di Ladislao, del Principato di Taranto (il più importante feudo del Regno) che lo rese signore illimitato della Terra d'Otranto, poiché nella primavera 1399, alla morte del padre, aveva ereditato anche la piccola contea di Soleto.

Il 18 giugno 1399 capitolò Taranto, dove Luigi II d'Angiò si era rifugiato quando la sua posizione a Napoli si era fatta insostenibile; due giorni dopo Maria, con il marito, poté fare ingresso solenne in città. In due privilegi dell'8 giugno Ladislao aveva già concesso a Raimondello e a Maria il merum et mixtum imperium in tutti i loro feudi e le entrate della Dogana di Lecce.

Regina consorte di Napoli cange

Non è noto il ruolo di Maria nella ribellione del 1405 contro Ladislao I d'Angiò da parte del marito, che aveva ripreso i rapporti con Luigi II d'Angiò. La morte improvvisa di Raimondello, il 17 genn. 1406, la lasciò con quattro figli minorenni Template:Chiarire in una situazione critica perché – a parte suo nipote Pietro d'Enghien-Lussemburgo, conte di Conversano, dove sua nonna Giovanna Sanseverino esercitava la reggenza – Maria fronteggiava Ladislao da sola. Proseguì la ribellione di Raimondello, tenendo nascosta la sua morte sino al 1º marzo 1406. Nello stesso giorno lasciò Lecce con i figli e andò a Taranto, perché la città era più facile da difendere e permetteva approvvigionamenti via mare.

Maria si mostrò un'avveduta organizzatrice e amministratrice: preparò Taranto al previsto assedio, assoldò truppe mercenarie al comando del nipote di suo marito, Francesco Orsini, e strinse contatti diplomatici con avversari di Ladislao – come re Sigismondo d'Ungheria, o re Martino I d'Aragona re di Sicilia, suocero di Luigi II d'Angiò – che aveva inviato dalla Sicilia tre galee con equipaggi catalani.

A fine febbraio Ladislao, ancora all'oscuro della morte di Raimondello, si era mosso verso la Puglia e il 14 aprile iniziò l'assedio di Taranto che dovette interrompere dopo quasi due mesi senza grandi risultati, benché Martina Franca e la contea di Conversano gli si fossero sottomesse.

Nel luglio 1406 giunsero a Taranto tre plenipotenziari di Luigi II d'Angiò, che confidava nella ribellione di Taranto per riacquistare il trono di Napoli. Questi, dal 21 luglio al 5 agosto ottennero l'omaggio di Maria e Giovanni Antonio il riconoscimento di Luigi II. In quell'occasione, Giovanni Antonio fu investito del Principato di Taranto e Maria ebbe confermati i suoi feudi nel Regno, mentre Luigi si impegnava, entro tre mesi dopo il ritorno degli ambasciatori in Provenza, ad inviare in loro sostegno 300 lance e a scendere personalmente entro l'estate 1407. Gli accordi si conclusero con la promessa di matrimonio tra Giovanni Antonio e la figlia di Luigi, Maria.

In realtà il 26 dic. 1406 Luigi mandò 600 bretoni a bordo di tre navi che però, poco dopo la partenza, naufragarono e la maggior parte dell'equipaggio morì. All'inizio di marzo 1407 Francesco Orsini, con i suoi soldati, passò dalla parte di Ladislao.

Perso anche il sostegno di papa Innocenzo VII, Maria acquistò sempre maggiore consapevolezza del fatto che, in quella condizione di isolamento, avrebbe potuto a stento resistere a un nuovo attacco del re.

Per questa ragione, probabilmente, quando Ladislao pose nuovamente l'assedio a Taranto, il 16 aprile 1407, Maria avviò in breve tempo le trattative che portarono al suo matrimonio con il re, celebrato il 23 aprile 1407 nella cappella del castello di Taranto, della quale oggi si è persa traccia, in seguito alla radicale ristrutturazione ed ampliamento operati tra la fine del XV e la metà del XVI secolo.

Tanto il principato di Taranto quanto le contee di Lecce e Soleto furono incorporati da Ladislao nel Demanio della Corona.

Maria si trattenne a Taranto per poco più di un mese e il 24 maggio si mise in viaggio per Napoli con i figli.

Negli anni seguenti, sino alla morte di Ladislao, il 6 agosto 1414, risiedette in Castelnuovo, ma, a differenza della madre di Ladislao, Margherita di Durazzo, a stento riuscì ad avere una qualche influenza sulla politica del marito, sebbene diverse istruzioni degli ambasciatori della Repubblica di Firenze fossero indirizzate anche a lei. Non c'è traccia nelle fonti storiche di una possibile condizione di prigionia di Maria e dei suoi figli durante il regno del marito.

Il recupero dei feudi cange

Morto Ladislao, la sorella Giovanna, salita al trono, imprigionò Maria in Castelnuovo con i due figli, perché vedeva nella vedova di suo fratello una possibile rivale per la Corona napoletana. L'arrivo a Napoli del futuro marito di Giovanna, Giacomo di Borbone (15 ag. 1415), provocò una svolta perché la figlia di Maria, Caterina, per iniziativa di Giacomo, alla fine del 1415 sposò Tristano Chiaramonte, uno dei cavalieri del seguito di Giacomo.

Per questa ragione alla fine del 1415, o al più tardi agli inizi del 1416, la regina le restituì la libertà, mentre i due figli Giovanni Antonio e Gabriele rimasero reclusi sino alla fine del 1417 o agli inizi del 1418. Per la liberazione di Gabriele, Maria dovette versare alla corte 8000 ducati.

Nel 1418 sia a Maria che a Giovanni Antonio furono restituiti i feudi che nel 1407 Ladislao aveva incorporato nel Demanio e che non erano ancora stati assegnati.

A Maria furono resi i feudi che aveva ereditato da suo fratello, mentre Giovanni Antonio ebbe i feudi che erano stati del padre (le contee di Soleto, Veglie, Tricase, le baronie di Flumeri-Trevico, Lavello, Minervino, Altamura e Locorotondo), ad eccezione del Principato di Taranto, di cui era stato investito lo stesso re consorte, Giacomo di Borbone che però nel maggio 1419 fuggì a Taranto per fomentare la ribellione contro Giovanna II.

Le truppe di Maria e di Giovanni Antonio assediarono e sconfissero Giacomo a Taranto, costringendolo a restituire la città ed a rinunciare ai suoi diritti sul Principato dietro pagamento di 20.000 ducati. Nell'estate 1419 Maria e Giovanni Antonio ereditarono Guardia Lombardi nel Principato ultra, da Giovanni Zurlo; in seguito quella signoria spettò al solo Giovanni Antonio, che il 4 maggio 1421 fu investito anche formalmente da Giovanna II del Principato di Taranto.

Nel 1421 si concluse un accordo tra Maria e i suoi due figli sulla spartizione dei feudi di famiglia: a Maria furono confermati i suoi feudi in Salento, mentre Gabriele ricevette come feudi da Giovanni Antonio le baronie di Flumeri-Trevico, Lavello, Minervino e Acerra.[1]

L'influenza politica e gli ultimi anni cange

Negli anni 1385-1406 e 1407-14 Maria era rimasta all'ombra dei suoi due mariti mentre dal 1420 compare accanto al figlio maggiore, defilata almeno dalle vicende politiche. Sebbene si intitolasse ancora sempre come regina di Napoli, non prese quasi per nulla parte alla lotta per il trono – prima tra Giovanna II e Alfonso V d'Aragona e poi tra Renato d'Angiò (il figlio di Luigi II) e Alfonso –, mentre i suoi figli dal 1433 presero decisamente le parti degli Aragonesi. Gabriele fu quindi investito da Alfonso nel marzo 1435 del Ducato di Venosa e, il 6 marzo 1437, il re ridusse a sole 50 onze d'oro in tutto l’adohamentum che M. e i suoi figli dovevano pagare per i loro vasti feudi.

Dal 1420, risiedette quasi esclusivamente a Lecce e si occupò soprattutto dell'amministrazione dei suoi feudi, per i quali emanò diversi statuti e privilegi. Tra questi, i più importanti sono sicuramente gli Statuta et capitula florentissimae civitatis Litii, del 14 luglio 1445[2]. Disponeva a questo scopo di una propria cancelleria e di un proprio ufficio camerale. Nello stesso periodo fece edificare per il marito Raimondello un monumento funebre a Galatina nella basilica francescana di Santa Caterina d'Alessandria a Galatina, commissionata da Raimondello stesso quale tempio familiare e completata da Giovanni Antonio[3].

Maria morì a Lecce il 9 maggio 1446 e fu sepolta nella chiesa di S. Croce a Lecce. La sua tomba venne dispersa insieme all'originaria chiesa, ricostruita nella sua prestigiosa veste attuale nel corso dei lavori di adeguamento e bastionatura del Castello[4].

Popolarità cange

Maria gode ancora oggi di popolarità nel Sud della Puglia, sostenuta da una ininterrotta tradizione storiografica locale incentrata sulla dimensione romanzata ed eroicizzata delle sue lunghe e controverse vicende biografiche, ancora oggi perpetrata da nuove edizioni e versioni.

A Taranto, ogni anno, nel terzo sabato di maggio, si svolge il ricco corteo in costume medievale che rievoca e arricchisce quanto tramandato da Crassullo sul Matrimonio di Maria d'Enghien con Ladislao di Durazzo.

Nella stessa città Taranto, la tradizione orale ha tramandato la locuzione dialettale «u uadàgne de Maria Prène» (il guadagno di Maria di Brienne), con la quale, richiamando la percezione popolare di perdita di libertà e sovranità che Maria ottenne dal matrimonio con Ladislao, si suole indicare uno scambio svantaggioso o un cattivo affare[5].

Note cange

  1. A. Kiesewetter, MARIA d'Enghien, regina di Sicilia, su www.treccani.it. URL conzultate il 19 maggio 2015.
  2. Pastore, p.20
  3. Cassiano, p.42
  4. N. Vacca, Spigolature sul tempio di S. Croce in Lecce, IV, Il mausoleo sepolcrale di M. d'E., in La Zagaglia. Rass. di scienze, lettere ed arti, I (1959), 1, pp. 42-44
  5. Giuseppe Cassano, U uadàgne de Maria Prène, in Cosimo Cassano, Radeche Vecchie, Taranto 1935

Bibliografia cange

  • F. Tanzi, I d'Enghien, conti di Lecce, in Riv. stor. salentina, I (1903), pp. 65–78.
  • G. Blandamura, L'autodifesa di M. d'E., in Rinascenza salentina, VI (1938), pp. 200–211.
  • Alessandro Cutolo, Maria d'Enghien, Congedo, Galatina 1977.
  • Michela Pastore, Il codice di Maria d'Enghien, Congedo, Galatina 1979.
  • Storia di Lecce dai Bizantini agli Aragonesi, a cura di B. Vetere, Bari 1993
  • G. Vallone, Istituzioni feudali dell'Italia meridionale tra Medioevo ed antico regime, Roma 1999
  • R.A. Greco, Prime testimonianze del volgare in Puglia. La corte di M. d'E., in Wenn Ränder Mitte werden…. Festschrift für F.P. Kirsch zum 60. Geburtstag, a cura di C. Adobati et al., Wien 2001, pp. 606–616.
  • C. Massaro, Potere politico e Comunità locali nella Puglia tardomedievale, Congedo, Galatina 2004
  • A. Kiesewetter, Problemi della signoria di Raimondo Del Balzo in Puglia, in Giovangualberto Carducci, Andreas Kiesewetter, Giancarlo Vallone, Studi sul Principato di Taranto in età orsiniana, Società di Storia Patria per la Puglia, Editrice Tipografica, Bari 2005.
  • Antonio Cassiano, Benedetto Vetere, Dal Giglio all'Orso. I Principi d'Angiò e Orsini del Balzo nel Salento, Congedo, Galatina 2006.
  • Andreas Kiesewetter, Maria d'Enghien, voce, Enciclopedia Treccani online, www.treccani.it.
  • Rossella Barletta, Maria d'Enghien donna del Medioevo, Edizioni Grifo, Lecce 2015.

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